In questa storia lunga 1600 anni, Venezia è stata incontro di civiltà, popoli, culture provenienti dall’Oriente. Questo incontro ha generato anche uno scambio culturale in molti ambiti, come quello del rapporto musicale che si è andato a creare. La città, tutt’oggi può testimoniarci questa convivenza di culture e civiltà in Chiese, calli, palazzi. La Chiesa di San Giorgio degli Schiavoni, conserva il dipinto di Vittore Carpaccio “Il Battesimo dei Selentini”. Questa è una testimonianza della musica orientale, all’interno della cultura Occidentale di Venezia.
Giovanni De Zorzi ci racconta di questo rapporto musicale
Giovanni De Zorzi, professore di Etnomusicologia presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia, fa chiarezza sulla questione. “In un primo momento, tra il XVI e XVII secolo, il rapporto tra questi due mondi è caratterizzato da una forte incomprensione. Le musiche e i suoni levantini e orientali sono spesso considerati come cacofonici, non interessanti e rumorosi. Non a caso, le prime volte che l’Occidente e Venezia ebbero modo di ascoltare la musica orientale fu durante scontri e battaglie, soprattutto tra la città lagunare e l’Impero Ottomano”.
Il mehtar dell’Impero Ottomano
Tra le file dell’esercito dell’Impero Ottomano, era presente un organico musicale, composto da un insieme di percussioni, strumenti a fiato, oboi e trombe. Era definito attraverso il termine persiano mehtar (مهتر), in turco mehter. Gli strumenti venivano utilizzati per farsi sentire in grandi spazi aperti, scandire gli ordini alle truppe, riscaldare e caricare i soldati e spaventare i nemici con suoni che potevano essere uditi anche a km di distanza. Questa musica è ancora ben distante rispetto a quella che, successivamente, i veneziani potranno ascoltare nelle corti orientali dei diplomatici. Tra questi strumenti che utilizzavano c’era il kös (timpano di grandi dimensioni), il davul (tamburo cilindrico), la zurna (oboe ad ancia doppia), il nafir (tromba diritta), e tanti altri. Erano affascinanti per via dell’effetto scenico che trasmettevano, suonati a cavallo di elefanti e cammelli, animali che non erano presenti nel territorio europeo.
Il mehtare era il simbolo del sultano e spesso veniva utilizzato per accogliere gli ambasciatori europei, soprattutto quelli veneziani, che arrivavano alle corti dell’Impero Ottomano. Fu per questo che tali strumenti vennero copiati anche in Occidente. È possibile trovarli ancora all’interno della “banda turca” dell’orchestra sinfonica, che è composta dai pianni, da piccoli timpano dalla grancassa e dai sonagli.
Continua il professor De Zorzi. “La volontà di riprodurre questi suoni e questi strumenti in Europa derivava proprio da un sentimento di attrazione e incanto per il suono tintinnato. Elemento che andò poi a marcare tutta la “stagione delle turcherie”, quel periodo musicale che ebbe il suo più noto e geniale esponente in Wolfgang Amadeus Mozart e che proseguì fino al XIX secolo. Quella delle turcherie fu una delle prime grandi stagioni musicali in cui si cominciò ad osservare con più attenzione e interesse la musica dell’altro. Si portò così il mondo europeo ad un incontro con le musiche marziali, che possiamo definire come uno dei primi grandi incontri tra l’Oriente e l’Occidente nel campo musicale”.
Il ruolo dei baili veneziani
Venezia ebbe un ruolo importante come ponte tra queste due civiltà. Nel 1688, il bailo veneziano Giovanbattista Donà, tornato da Costantinopoli, scrisse un’opera intitolata “Della Letteratura dei Turchi”. Questo libro sottolineò un punto importantissimo nel rapporto musicale tra l’Occidente e l’Oriente. Gli europei non erano più inorriditi di fronte ai suoni delle altre musiche, ma iniziavano a comprenderle e a trascriverne i testi.
Un altro bailo, Agostino Garzoni, si recò a Costantinopoli portandosi con lui il gesuita, Gianbattista Toderini. Quest’ultimo, dopo aver studiato la letteratura e la poesia persiana e ottomana, nel 1788 tornò a Venezia e pubblicò un libro intitolato “Letteratura Turchesca”.
“Quest’opera testimonia ancora oggi una specifica peculiarità propria della musica araba-persiana, ottomana, indiana e centro-asiatica, che adotta un tipo di divisione dell’ottava musicale in microtoni. Una ripartizione in grado di essere riprodotta solamente da specifici strumenti, come il tanbûr, un liuto a manico lungo del mondo ottomano che Toderini fa ritrarre in una tavola allegata al libro dimostrandone gli intervalli microtonali. La suddivisione dell’ottava in microtoni è una caratteristica che differenzia la musica orientale da quella occidentale. Dal 1722 in avanti si suddivide l’ottava in dodici semitoni temperati e uguali tra di loro, applicando così un’aritmetica musicale quasi innaturale”. Ha così concluso De Zorzi.