Con il ritorno alla normalità le zone della stazione ferroviaria di Mestre e di via Piave si stanno trasformando in chiave turistica riprendendo una vocazione che si era interrotta con l’emergenza Covid. E’ emerso da una ricerca degli studenti dello Iuav presentata in questi giorni che è partita delle attività commerciali fiorenti lungo la linea del tram. Intanto chiude una merceria strica in piazza Ferretto. Il dibattito tra i mestrini è acceso, come fare per farla tornare Mestre una vera città. Ospitiamo il commento di Pierluigi Rizziato, giornalista e scrittore
Pierluigi Rizziato, Giornalista
L’estate 2022, insieme a un sensibile incremento delle temperature, ha anche parallelamente surriscaldato, almeno dalle nostre parti, il dibattito intorno alla città di Mestre, al suo presente e al suo futuro.
Mestre: dalla vocazione operai a quella turistica. Ma mai città.
Il presente a Mestre, nonostante i tanti negozi ancora chiusi, evidenzia una certa rivitalizzazione della sua area centrale e della piazza in particolare. Nel corso del dibattito ho sentito dire che Mestre per la sua posizione strategica, per le sue strutture e per i servizi che offre ha tutte le carte in regola per essere una vera città. Forse ritenendo che tale ancora non lo sia.
E per molti versi Mestre non c’è, non esiste. Non esiste un accenno a Mestre in tutta la rete autostradale italiana. Ai caselli, non si arriva a Mestre ma a Venezia Sud, Est o Nord. Nei treni, i monitor indicano l’arrivo a Venezia ME. E questi sono solo alcuni dei tanti esempi che si potrebbero citare.
Tutto questo ha un inizio. Questo inizio risale al 1926, quando un editto di Mussolini sottoscritto dal Re unì amministrativamente Mestre a Venezia. Riducendola brutalmente da un giorno all’altro da città a frazione. In pratica una città, Venezia, acquisiva il diritto di amministrare un’altra città, per di più dalle caratteristiche completamente diverse dalle sue. E la Mestre di oggi porta sulla pelle le conseguenze di questo atto. Ferite profonde sempre più difficili da curare e da risanare.
A mio dire la soluzione sarebbe stata quella di cancellare quel deleterio editto, e per vie legislative, non coi referendum, restituire a Mestre il diritto di auto amministrarsi. Di esistere e di far valere la sua dignità e la sua identità. E anche il diritto, volendolo, di farsi del male da sola.
È universalmente riconosciuto che Venezia è una città unica. Vero, verissimo. Venezia è unica. Mestre, però, è un’altra cosa. Proprio per questo occorre provvedere per il bene di Venezia e per il bene di Mestre.