Il Papa ha deciso di dare un taglio netto alla vendita di sigarette in Vaticano, ponendo fine a una delle maggiori fonti di reddito commerciale dello stato.
Francesco ha vietato la vendita di sigarette a dipendenti, religiosi e diplomatici del Vaticano a partire dal 2018, per non cooperare con una «pratica che danneggia la salute». Lo ha reso noto il portavoce pontificio, Greg Burke, spiegando che: «Secondo l’OMS, ogni anno il fumo è la causa di più di sette milioni di morti in tutto il mondo. Le sigarette, vendute ai dipendenti e pensionati del Vaticano a un prezzo scontato, erano fonte di reddito per la Santa Sede. Tuttavia, nessun profitto può essere legittimo se mette a rischio la vita delle persone».
Del resto, più volte il Papa ha sottolineato come la salute «costituisce un bene primario e fondamentale di ogni persona» e per dare seguito a questi convincimenti ha deciso di agire contro quello che Oltretevere è un vero e proprio business: la decisione comporterà infatti un calo nelle entrate degli esercizi commerciali dello stato.
Secondo documenti anticipati nel 2015 da L’Espresso, fu la Cosea (la Pontificia commissione referente di studio e di indirizzo sull’organizzazione della struttura economico-amministrativa) a chiedere ad alcune società di revisori di conti di fare una due diligence sulle attività commerciali della Santa Sede: l’americana Ernst&Young nel dicembre 2013 stilò un rapporto dettagliato dove si segnalavano tutti i guadagni del triennio 2010-2012, i costi di ogni servizio e quelli di ogni ufficio controllato dal governatorato.
La vendita di tabacchi, secondo Ernst&Young, era la seconda fonte di utile del dipartimento dei servizi economici, con un incasso 10 milioni di euro all’anno: le sigarette potevano essere acquistate solo dai dipendenti, per un massimo di cinque stecche al mese, ma – secondo L’Espresso – migliaia di persone non autorizzate dalla legge riuscivano a portarsi a casa pacchetti di sigarette e sigari cubani a pochi soldi.