Il talento visionario ed estremo di Giorgio Battistelli e Damiano Michieletto si sono incontrati su un inaspettato terreno di gioco. Ossia il teatro di Carlo Goldoni il tutto grazie all’intuizione di un direttore veramente artistico come Fortunato Ortombina per rendere omaggio ai sessant’anni della Marsilio. La casa editrice veneziana che pubblica l’edizione nazionale delle opere di Goldoni. Mai matrimonio fu più felice, vista l’opera maestosa e potente che ne è uscita. Le baruffe liberamente tratte dal “Le baruffe chiozzotte” di Carlo Goldoni, musica di Giorgio Battistelli e musica di Damiano Michieletto, titolo di punta di questo Carnevale 2022.
Spiega l’idea delle ‘baruffe chiozzotte’ di Giorgio Battistelli, compositore
“L’idea di scrivere un’opera sul ‘Le baruffe chiozzotte’ di Carlo Goldoni nasce in una bellissima e suggestiva serata di inizio autunno avvenuta a Venezia. Fortunata Ortombina, sovraintendente della Fenice mi invitò insieme a Damiano Michieletto e facemmo un incontro nel suo ufficio in teatro e cominciò a parlare di Goldoni. In quel momento ho avuto un’immagine precisa che è quella di un affresco. Un affresco definito di voci, di ciacole, di pettegolezzi, di sguardi di tensione, di amore , di odio e invidia, di tutti i sentimenti dell’umano. In questo Goldoni è il vero librettista straordinario”.
Racconta così Damiano Michieletto, il regista dell’opera
“Una sfida che accetto con molta curiosità proprio perchè nessuno quando facciamo le prove conosce già il materiale, conosce già la musica. Io stesso non ho mai sentito tutta la musica che Giorgio Battistelli ha composto, tutto il coro e l’orchestra cantare quindi anche per me è tutta una scoperta continua. Questo crea un clima durante le prove anche divertente, di rispetto. Nessuno ha un pregiudizio sulla musica. Nessuno pensa già di sapere come si deve fare quest’opera. Quindi il fatto di fare una cosa nuova secondo me è molto vitale. penso che tutti i teatri debbano assolvere a questo compito, offrire al pubblico una musica di oggi con le storie di oggi”.
L’opera mantiene la lingua originale ossia quel dialetto chioggiotto che da’ freschezza ed espressività alla narrazione corale di un mondo povero e sanguigno come ci spiegano il direttore d’orchestra Enrico Calesso e il maestro del coro Alfonso Caiani.
Si esprime così Alfonso Caini, Maestro del Coro al Teatro La Fenice sulle ‘baruffe chiozzotte’
“Il coro è la popolazione di Chioggia diciosa, che è una grande eco di quello che succede ai solisti, ai personaggi e alla disputa di queste due famiglie. La disputa di queste tre coppie amorose che si prendono e si lasciano. Il coro fa eco a tutto questo. lo fa con una paletta di colori straordinaria, con una scrittura vocale interessantissima, molto esigente ma anche molto ricca di soddisfazione. Molte note cantate ma anche molti effetti di bisbigliato, di mezzo parlato, di timbri strani che si sovrappongono e fanno degli effetti straordinari. La partitura è molto ricca e la scrittura vocale è veramente vocale, si canta tutto non con facilità perchè è una partitura esigente, ma con bellezza e gioia di cantare.
Adesso sulle prove di scena Daniele Michieletti sta giustamente ancora approfondendo le inflessioni del parlato per cui è una lingua come un’altra, la si tratta come una lingua da studiare.”
Racconta Enrico Calesso il Direttore d’Orchestra
“Si sviluppa una vicenda in cui è centrale il dialetto ciosotto. Questo diventa fondamentale anche per la partitura. Da un lato le parti vocali vengono portate, a seconda dei registri, in quelle regioni in cui l’inflessione dialettale ritmica e timbrica, il colore del registro viene usato in modo particolare. Questo per dare questa spontaneità espressiva del gesto e della parola. Ma anche per segnalare i diversi caratteri di nazione. Una partitura molto complessa naturalmente. Una partitura in cui l’orchestra sostiene le voci, delinea le baruffe, quindi piena di colori, piena di accenti e piena di diverse articolazioni. Nella dialettica tra palcoscenico e orchestra cerchiamo anche di interpretare questa musica per dare anche tutte le sfaccettature di questa vicenda.”
Anche le scene di Paolo Fantin nei costumi di Carlateti esaltano la ruvidezza e l’inquietudine di una realtà non edulcorata.
Paolo Fantin, scenografo, descrive così ‘le baruffe chiozzotte’
“Quindi ho deciso praticamente di far vedere la Fenice nuda, completamente, per cui è la prima macchina che sarà completamente a vista del pubblico. Il teatro, cui tutti i macchinari completamente a vista senza quinte, senza niente. Tutta a vista al pubblico. Seconda macchina è la nebbia. Famoso caigo. La nebbia l’ho creata attraverso un wall che è quello che vedete indietro. Per cui c’è questo grande cornice che fa un grande movimento a terra e sale su che è proprio una macchina della nebbia. Siccome se la nebbia salisse. E poi abbiamo il vento. Sopra, se lo vedi, abbiamo tre enormi palle che creano proprio questo vento. Creano questa inquietudine propria. Quindi la gente atmosferico ma in realtà è qualcosa che muove dentro.”
Commenta così Carla Teti, costumista, l’opera delle baruffe chiozzotte
“Si partiti appunto dall’idea di un settecento però un settecento che non è un settecento edulcorato. Il nostro settecento è un settecento molto duro. Prima cosa che ho fatto è stato eliminare le parrocchie. Io ho chiesto di non truccarli, quindi cappelli sudati, sporchi. Per fare sentire trasudare quello che era il clima. Anche quivano questi personaggi, sono di mossi di verdi, dei mossi, dei fanghi. E’ stato fatto un lavoro enorme di tinture, invecchiamenti, proprio per restituire questa patina