Per evitare il fenomeno dell’acqua alta e di sporcarsi le vesti col fango, ma in realtà servivano essenzialmente a limitare la libertà di movimento delle donne. I “calcagnini” o “calcagnèti” sono le calzature più in voga a Venezia per oltre due secoli e costituirono un elemento tipico della moda femminile veneziana tale da attirare l’attenzione degli stranieri.
Caratteristiche dei “calcagnini”
La caratteristica principale di queste calzature, che somigliavano a dei veri e propri trampoli, consisteva soprattutto nella loro altezza, che sollevava il piede da terra di molti centimetri, fino ad arrivare oltre il mezzo metro. Non si può certo dire che le donne si muovessero con grazia e leggiadria: chi le indossava non aveva stabilità nell’andatura e difficilmente riusciva a camminare disinvoltamente da sola per le calli e i ponti della città. Per questo motivo era necessario l’ausilio di due servitori che sostenessero la dama.
All’epoca in cui le singolari calzature si diffusero, la Serenissima era centro di commerci e di grandi ricchezze e indossare queste scarpe era un modo per ostentare e identificare il ceto sociale della nobildonna: tanto più alta era la zeppa, tanto più importante era la veneziana, perché era necessaria molta più stoffa per far arrivare la gonna fino a terra.
Una scomoda moda
A determinare la scomoda moda, in voga dal Quattrocento fra le nobildonne della Serenissima, fu una ragione di costume sociale: questo tipo di calzatura così alta scoraggiava le donne ad uscire di casa o, quantomeno, ad andarsene troppo in giro così che mariti e padri potevano contare su una maggiore tranquillità domestica.
Le scomode calzature – che nel 1500 vengono impreziosite con broccati, sono arabescate, dorate, gemmate – furono molto utilizzate anche da cortigiane e prostitute per trasformarle in armi di seduzione. Insomma, i “calcagnini” rappresentano una vera e propria contraddizione perché da una parte concorrevano a salvaguardare la virtù femminile limitando la libertà di movimento e dall’altra appaiono come uno strumento di seduzione usato da meretrici e cortigiane.
Zoccoli di pelle, di legno, di cuoio cotto, i “calcagnini” divennero sempre più un oggetto di lusso, ma data la loro altezza non era raro assistere a cadute pericolose seguite da gravi conseguenze, come fratture e aborti. I funzionari pubblici andarono sempre contro questa calzatura sia perché comportavano facili cadute, sia per il lusso che in essi le donne profondevano.
Le “norme” del Maggior Consiglio
Sin dal 2 marzo 1430, il Maggior Consiglio decretò che la calzatura non dovesse superare l’altezza di dieci centimetri, una disposizione che aveva lo scopo di salvaguardare l’incolumità fisica delle donne e imporre una certa modestia e moralità nel vestire.
La limitazione a questo lusso venne anche dal Senato, nel 1512, e dal Magistrato alle Pompe nel 1641. Ma tali decreti proibitivi non ebbero alcun effetto sulle dame veneziane, che continuarono ad indossare “i calcagnini” disobbedendo a tutte le norme.
A contrastare queste altissime zeppe furono le mule o muléte, scarpe leggere prive di tallone e fibbia che si usavano generalmente in casa ma che poi divenne di moda indossare anche per strada – impreziosite con ornamenti molto ricercati – tra la seconda metà del 600 e il 700.
I “calcagnini” continuarono ad essere calzati, però, anche nel 1700 ed ebbero tra i propri difensori Suor Angela Tarabotti la quale, nei suoi trattati, scrisse che la “donna deve per ogni rispetto andare innalzata dalle ordinarie bassezze”.
I “calcagnini” come forma di potere sulla libertà delle donne
Quando le veneziane abbandonarono questi altissimi zoccoli per passare alle comode scarpette, fra le prime ad adottarle furono le figlie del doge Domenico Contarini, in carica dal 1659 al 1675. Si racconta che, in occasione di una cerimonia, un ambasciatore straniero lodò le due fanciulle soffermandosi sulle loro belle scarpe e un consigliere della Repubblica si lasciò sfuggire la frase “pur troppo comode”. A conferma che i “calcagnini” fossero tollerati dal governo come forma di potere sulla libertà di movimento delle donne.
Leggi anche: I segreti dell’arte del profumo: il primo ricettario della cosmesi