La Voce della Città Metropolitana

Cgia Mestre: 50% dei dipendenti pubblici lavora ancora in smart working

Con il fitto calendario di eventi e Venezia e la fiera del mobile a Milano davvero l'Italia è ripartita e i dati della produzione indicano una crescista a livelli cinesi. Il paese sta recuperando il tempo perduto naturalmente eccetto il settore pubblico dove ben il 50% dei dipendenti lavora ancora in smart working

In questa nuova puntata di La Voce della Città Metropolitana, ospite Daniele Nicolai, della Cgia di Mestre. Riprendiamo dopo la pausa estiva con gli studi della Cgia di Mestre.

Si parla di smart working e Pubblica amministrazione: più del 50% lavora ancora da casa, ma con la campagna vaccinale che avanza e l’80% di popolazione già con la prima dose, non ha molto senso continuare a far lavorare i dipendenti pubblici da remoto.

“Sicuramente è una cosa che rallenta anche il processo di ripresa economica. Le imprese, ma anche i cittadini hanno bisogno dei servizi pubblici, per l’economia, lo spostamento di merci, ecc. In questo senso il Ministro Brunetta di recente ha segnalato proprio come il 50% della pubblica amministrazione in agosto fosse ancora in smart working.

Su 3 milioni di lavoratori della PA, 1 milione e mezzo è ancora in una forma di lavoro da remoto. L’obiettivo del ministro è quello di arrivare a un 15% entro la fine dell’anno, ma è chiaro che il problema rimane. Siamo ormai lontani dai lockdown e i risultati delle vaccinazioni sono più che positivi, perciò è necessaria una risposta diversa dalla Pubblica Amministrazione” ha detto Daniele Nicolai della CGIA di Mestre.

Aggiungiamo anche la questione Green Pass. Pare che i no-vax tra i dipendenti pubblici siano molti di più rispetto alle altre categorie. Siamo a circa il 20%.

“Tendenzialmente, arrivando ad un’estensione di quello che è l’utilizzo del Green Pass per accedere a lavoro e altri tipi di servizi, ci può essere la problematica legata a questo strumento. C’è tuttavia un precedente secondo noi, ovvero come i rapporti con la PA fossero già critici prima della pandemia. Andando a misurare ad esempio i tempi di attesa ad uno sportello Ulss o del Comune, quelli che superano i 20 minuti sono passati da un attesa media di 35 persone a 50. Ciò significa che l’attesa media si è allungata idealmente di 20 persone.”

“È vero che c’è stata una parte di digitalizzazione, ma chi si è recato fisicamente allo sportello ha aspettato 20 minuti in più rispetto ad anni fa. Partivamo da una situazione già grave e siamo arrivati al 2020 con una pandemia in corso, durante la quale l’attività della PA si è quasi del tutto fermata. Si è andati principalmente per appuntamenti, quindi le code sostanzialmente sono sparite. Sappiamo anche che le imprese europee lamentano problemi di accesso ai servizi pubblici, e in Italia siamo a 9 imprese su 10, contro i 6 della media UE” ha detto Daniele Nicolai della CGIA di Mestre.

Durante i mesi di lockdown si è potuto sperimentare lo smart working come strumento utile, ma a quanto pare nel pubblico non è così, non essendoci nemmeno controllo.

“Dal punto di vista della PA le problematiche sono legate soprattutto alle procedure informatiche e alle capacità stesse nell’utilizzare determinati strumenti.”

È giusto quindi anche spezzare una lancia a favore del lavoratori del pubblico.

“Certamente. Tuttavia non possiamo distinguere lavoratori di serie A e di serie B. In un momento in cui tutte le attività economiche sono riaperte, e la direzione sembra quella di un recupero economico quasi pari a quello del 2019, con un Pil in crescita del 6%, ci aspettiamo una spinta ancora maggiore nei prossimi mesi. Abbiamo, piuttosto, bisogno di un meccanismo pronto e sostenuto anche dalla pubblica amministrazione , che dia delle risposte a cittadini e imprese.”

“Un altro aspetto rilevante è anche che certo lo smart working è riuscito a sopperire per un certo periodo di tempo all’inabilità delle imprese a produrre a causa della situazione pandemica, però allo stesso tempo ci sono studi ne evidenziano non pochi problemi quando applicato sul lungo periodo. L’Università Cattolica di Milano parla di un peggioramento del quadro psico-fisico del dipendente, accompagnato da livelli di stress elevati e dalla crescente incapacità di gestire la crisi all’interno di un nucleo familiare. Non erano poche le situazioni in cui la dimensione scolastica e quella lavorativa si sovrapponevano per mancanza di spazi sufficienti” ha detto Daniele Nicolai della CGIA di Mestre.

E questo sarà stato un problema soprattutto per le donne, impegnate anche a seguire eventuali figli in didattica a distanza.

“Esattamente, e purtroppo spesso ne è derivato un peggioramento della prestazione lavorativa. ”

E questo ha mostrato in maniera sempre più evidente che l’uomo, essere sociale, per lavorare bene ha bisogno anche di colleghi intorno a sé. Per quanto poi a volte ci si possa lamentare per incomprensioni o screzi con collaboratori o superiori.

“Siamo consapevoli tutti, ora più di prima, di quanto le relazioni sociali siano un incentivo a ottenere risultati anche in ambito lavorativo. Quando infatti questi sono individuali, sono piccoli mattoni che si sommano l’uno all’altro, mentre quando si tratta di lavorare in gruppo è più immediato leggerli in un orizzonte più ampio. Con questa capacità relazionale, le imprese sono abituate a lavorare ogni giorno, avendo a che fare con clienti e fornitori. Lo smart working è stato una misura temporanea per arginare gli effetti negativi del lockdown, ma è del tutto evidente che sia improponibile praticarlo sempre.”

“Allo stesso tempo, è giusto ammettere che, rispetto a riunioni internazionali o che prevedono spostamenti extra-regionali, ha creato un nuovo modo di fare impresa. Sono quindi da trattenere tutti quegli aspetti positivi conseguenti allo smart working che permettono di interfacciarsi in modo più rapido ed efficace con i propri interlocutori. Potranno essere infatti elementi chiave per la crescita di imprese che invece fino ad ora erano meno digitalizzate.”

Quindi sono due i piani su cui si colloca il discorso: quello produttivo, per cui certamente essere in gruppo aiuta a raggiungere risultati migliori, ma anche quello del profilo psicologico del lavoratore.

“Assolutamente, l’aspetto emotivo e psico-relazionale è centrale per la produttività del singolo e quindi poi dell’intera struttura lavorativa. Per questo appunto lo smart working è un modello da ridimensionare in larga parte, anche se non da eliminare completamente.”

E speriamo che il ministro Brunetta sia al corrente di tutto questo.

“L’auspicio del ministro è proprio quello di abbassare il tasso di lavoratori impiegati in smart working al 15%. È necessario in questo senso anche una collaborazione della pubblica amministrazione che è chiamata a dare risposte forti alle imprese, e che sicuramente potrà beneficiare della progressiva digitalizzazione cui tutto il mondo del lavoro sta andando incontro, per arrivare a chiedere sempre meno a contribuenti e imprese.”

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