Coronavirus: l’onda lunga della rivolta nelle carceri italiane è arrivata anche a Venezia nel carcere di Santa Maria Maggiore: i detenuti di un padiglione hanno dato inizio ad una rivolta nella tarda mattinata di oggi svuotando estintori cercando di distruggere le inferriate. Hanno anche appiccato il fuoco. Al momento, nessuno risulta evaso.ù
La polizia penitenziaria, insieme ai colleghi della questura, ai carabinieri e ai finanzieri, ha creato un cinturone all’esterno per monitorare la situazione ed evitare eventuali tentativi di fuga. Polizia, carabinieri, guardia di finanza ed esercito sono sul posto e nelle vicinanze per bloccare eventuali tentativi di evasione. I terminal automobilistici, attigui alla casa circondariale, sono stati in parte chiusi e numerosi controlli sono in atto lungo il ponte della Libertà, che collega Venezia alla terraferma.
Coronavirus
La direttrice del carcere, Immacolata Mannarella, ha garantito un incontro con una rappresentanza dei detenuti, per stabilire un contatto.
Le proteste scoppiate in 22 istituti penitenziari messi a ferro e fuoco da due giorni dai detenuti, da Pavia a Foggia, da Rieti a Modena finora hanno provocato 11 morti. Sono collegate ai timori per la diffusione del coronavirus e al fatto che, per arginare i rischi di contagio, il governo ha decretato la sospensione dei colloqui dei detenuti con i familiari all’interno delle carceri (i colloqui sono stati sostituiti con videochiamate e telefonate).
I sindacati di Polizia
Tutti i sindacati di Polizia Penitenziaria accusano Bonafede: misure tardive ed inadeguate e frammentarie perché – senza aver tenuto conto delle pur numerose osservazioni e contributi offerti dal Sindacato – I detenuti, protestano in generale per le condizioni di vita e per i rischi dovuti al sovraffollamento, situazione peggiorata negli ultimi due anni. Senza il sovraffollamento non sarebbe stato necessario interrompere i contatti con i famigliari, ma solo aumentare la vigilanza.
Da più parti si chiede “la testa” del ministro, reputato non all’altezza di gestire una situazione in cui, al concreto rischio di diffusione dell’epidemia, si sommano anni di inadeguate politiche di gestione del sistema carcerario.