Una violenza estesa a tutta la famiglia
Sono orfani speciali, termine coniato da Anna Baldry, la nota criminologa morta nel 2019. Sono orfani di madre, perché uccisa, ma anche di padre, poiché suicida o in carcere. Chi si prende cura di loro, solitamente familiari stretti (nonni, zii), ha bisogno di supporto psicologico, quanto i minori che si prende a carico.
Il trauma è di tutta la famiglia e la violenza da diretta diventa assistita, ma rimane una violenza. Se ne è parlato durante il convegno “Quello che i bambini non vedono” tenuto a Padova e promosso dall’ordine degli psicologi del Veneto.
Le parole di Paola Medde, psicologa e psicoterapeuta: “Dopo l’evento tragico, effettivamente, il problema è che, spesso, vengono lasciati tutti quanti soli, e non solo i bambini e le bambine che rimangono orfani. Ma anche, soprattutto, quelle famiglie affidatarie che, per un discorso di legge, generalmente, sono anche i parenti fino al terzo grado di questi stessi bambini e bambine. Quindi loro stessi sono coinvolti in un dolore e, loro stessi, devono essere assistiti e aiutati affinché possano funzionare per aiutare ad aiutare.”
La testimonianza dell’orfano Giuseppe Del Monte
Ai lavori è intervenuto anche un orfano speciale, Giuseppe Del Monte, il cui padre ha ucciso la madre ventisei anni fa, finendo poi in carcere. “Mi aspettavo – ha detto – che le istituzioni mi chiedessero se avevo bisogno di supporto, se riuscivo a mantenermi. La nostra vita era completamente stravolta ma, dallo Stato, non ho ricevuto nulla. Lo psicologo me lo sono pagato di tasca mia dopo vent’anni dall’accaduto, perché prima non riuscivo nemmeno a parlarne.”
Giuseppe Del Monte, orfano di una donna uccisa dal padre: “Lui la prima cosa che faceva quando ricevevamo un giocattolo era buttarcelo o in una stufa o, comunque, rompercelo perché noi non potevamo giocare in casa. Io ricordo mia madre al punto che ci diceva “Ragazzi sta arrivando papà, mi raccomando non ridete”.”
“Noi non potevamo guardare mio padre negli occhi mentre ci parlava, dovevamo abbassare lo sguardo. Era normalissimo vedere mio padre che piazzava le mani a mia madre. Fino a quando io tredicenne e i miei fratelli molto più grandi convinciamo mia madre a lasciare quest’uomo che ci stava torturando in tutti i sensi la vita”.
La reazione delle vittime di violenza che sopravvivono
C’è poi il mondo delle donne che subiscono violenza e che sopravvivono, chiedono aiuto ai centri antiviolenza e si portano anche i figli. E, anche in questo caso, i minori subiscono violenza assistita dalla loro stessa madre.
Secondo i dati del centro antiviolenza di Padova, nel 2023 sono state accolte 21 donne con 17 figli minori e, con progettualità a lungo termine presso la casa rifugio, sette donne con due minori. In tutti i nuclei accolti, sia in emergenza sia in casa rifugio, si è potuto constatare che i minori erano vittime di violenza assistita. La donna, vittima di violenza che è anche madre, vive un doppio peso quando scatta la violenza che mette in pericolo la vita. La mente mette in atto un meccanismo per sopravvivere: il tentativo di abbassare la tensione, giustificare colui che agisce violenza, minimizzare.
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