Il Doge indossava il manto d’oro con il bavero di ermellino, la sottana azzurra, le calze rosse, il corno e i calzari d’oro. E con una cerimonia della Festa della Sensa che vedeva uno stuolo di rematori, di accompagnatori, di musici, di barche al seguito, dava vita all’annuale sposalizio con il mare, la maggiore celebrazione della Repubblica, un rito che ancora oggi Venezia rinnova con lo stesso spirito e con lo stesso senso di appartenenza.
Festa della Sensa
La Festa della Sensa (festa dell’Ascensione) è una festività della Repubblica di Venezia in occasione del giorno dell’Ascensione di Cristo (in dialetto veneziano Sensa). Commemora due eventi importanti per la Repubblica: il primo, quando il 9 maggio dell’anno 1000 il doge Pietro II Orseolo soccorse le popolazioni della Dalmazia minacciate dagli Slavi; il secondo, quando nell’anno 1177, sotto il doge Sebastiano Ziani, Papa Alessandro III e l’imperatore Federico Barbarossa stipularono a Venezia il trattato di pace che pose fine alla diatriba secolare tra
Papato e Impero
All’inizio, il rito era celebrativo, religioso e scaramantico insieme, solo per propiziarsi la tranquillità del mare, e contemplava una cerimonia semplice, con la visita del Doge al mare e la benedizione delle acque dell’Adriatico. Su questo rito preesistente si è innestato poi lo sposalizio del mare e da allora Venezia celebra il suo dominio sul mare gettando tra le acque un anello d’oro in un matrimonio mistico che si rinnova ogni anno alle parole “Despondemus te, mare, in signum veri er perpetui domini”.
La cerimonia, in base alle ricostruzioni storiche, iniziava con una messa nel monastero di Sant’Elena, dopodiché il vescovo di Castello saliva sullo sfarzoso Bucintoro con un recipiente ripieno di acqua benedetta, un vaso con del sale e un ramo di ulivo che fungeva da aspersorio. Il Serenissimo Doge lanciava l’anello tra le onde solo dopo che si versava l’acqua benedetta in mare. Il vescovo e il doge sbarcavano al Lido e lì si formava una processione religiosa che si dirigeva verso la chiesa di San Nicolò. LEGGI IL PROGRAMMA DI DOMENICA 16 MAGGIO
La tradizione
Grazie all’attività del Comitato Festa della Sensa, Venezia solitamente celebra l’evento, con un corteo acqueo che parte da San Marco e arriva al Lido, formato da imbarcazioni tradizionali a remi, organizzate dal Coordinamento delle Società Remiere di Voga alla Veneta, con in testa la “Serenissima”, l’imbarcazione sui cui prendono posto il sindaco e le altre autorità cittadine e da cui avviene il suggestivo lancio di un simbolico anello.
Il Bucintoro
Un palazzo navigante lungo 34,80 metri, largo più di 7 e alto 8 abbellito da statue, intagli, decori, velluto rosso, oro luccicante. A spingerlo 168 rematori, aiutati nelle manovre più complesse da rimorchiatori. Nel secondo piano 90 sedili ospitavano i nobili veneziani. Ecco in tutta la sua magnificenza l’ultimo Bucintoro costruito dalla Serenissima, il re delle imbarcazioni veneziane, la nave cerimoniale riservata al Doge di Venezia, considerata sin dal XIII secolo una delle meraviglie della città. Una magnificenza di addobbi e di simboli, su cui sventolava il vessillo di San Marco, col leone che reggeva lo scudo del Doge regnante sormontato dal corno.
Il Bucintoro era l’imbarcazione usata nelle cerimonie: per accogliere un nuovo Doge, nelle occasioni di visita da parte di un sovrano o principe straniero, oppure durante la festa della Sensa.
La prima imbarcazione, alla fine del 1200, era una sorta di peatone dorato, un grosso “burcio” ricoperto da un tetto a volta di botte, ma con il passare dei secoli acquisì la forma snella ed elegante della galea. Erano i maestri dell’Arsenale a prendersene cura, a rinnovarlo e ricostruirlo nei secoli, conservandone però la forma e la struttura.
L’ultimo Bucintoro apparse nel suo splendore il 28 maggio 1729 ed è quello riprodotto nelle più famose tele dei pittori dell’epoca. Le statue e gli intagli erano opera dello scultore Antonio Corradini, mentre le dorature di Giovanni Adalmi. Nove Serenissimi sposarono il mare da questa nave nell’arco di 69 anni: Alvise III Mocenigo, Carlo Ruzzini, Alvise Pisani, Pietro Grimani, Francesco Loredan, Marco Foscarini, Avise IV Mocenigo, Paolo Renier e Ludovico Manin.
Il Bucintoro dopo la Serenissima
Il 9 gennaio 1798, quando i francesi abbandonarono Venezia, i soldati napoleonici distrussero vandalicamente il naviglio. Dalle testimonianze dell’epoca pare che la nave fu tratta a terra nell’isola di San Giorgio: tremila statue furono bruciate e tutta la struttura fu ridotta in cenere. Da quelle ceneri, per processo chimico, si estrasse l’oro. Lo scafo venne invece trasformato nel 1805 in nave cannoniera e infine definitivamente distrutto nel 1824. Del Bucintoro restano oggi due modelli: uno conservato al Museo storico navale, voluto dal marchese Amilcare Paolucci delle Roncole, vice ammiraglio della Marina austriaca, un altro conservato in una collezione privata.
Il Mercato della Sensa
Dal 1300, in occasione della Sensa, si istituì il mercato che via via acquisì sempre maggiore importanza. Il mercato della Sensa durava 15 giorni, si svolgeva in Piazza San Marco e vedeva esporre commercianti ma anche artisti. Grande era l’afflusso di stranieri che si recavano a Venezia per acquistare le merci che la città importava dall’Oriente: sete e drappi ma anche prodotti tipicamente veneziani, come oggetti in vetro e specchi.
Vi era un giro di affari talmente elevato che la fiera si decise di sospenderla solo in pochissime occasioni: per l’elezione del doge Andrea Gritti nel 1523, oppure a causa delle pestilenze (nel 1498, nel 1530 e nel 1575).
In Piazza San Marco le moltissime bancarelle erano dapprima collocate disordinatamente, ma col passare degli anni il mercato si strutturò con costruzioni lignee addossate l’una all’altra.
Nel 1777 si realizzò una struttura architettonica vera e propria, un apparato a pianta ellittica, interamente ligneo e dipinto, con statue a coronamento dei quattro ingressi che si aprivano verso la basilica, le Procuratorie Nuove, la chiesa di San Geminiano e le Procuratorie Vecchie, un apparato che costò 57.088 ducati, una cifra enorme in un momento difficile per l’economia veneziana. Nell’arco interno venivano ospitate 52 botteghe e in quello esterno altre 50, illuminate di notte per mezzo di 200 lampioni di cristallo alimentati ad olio. Anche questa preziosa costruzione subì la stessa sorte del Bucintoro e nel 1797 fu data alle fiamme.