I muschieri della Serenissima: gli alchimisti del profumo

I muschieri della Serenissima in grado di conquistare le maggiori corti d’Europa con i loro ricercati profumi

Sedurre e, al contempo, occultare odori sgradevoli. E allora si profumano le parrucche, i vestiti, i guanti, il corpo, i ventagli, le monete, gli ambienti stessi in cui si vive. E i muschieri sono i detentori di queste segrete ricette, che mescolano rosa, lavanda, fiori d’arancio, muschio, ambra grigia e zibetto per farsi pagare “profumatamente” quello che per Venezia rappresentò, per secoli, uno status da privilegiati, ma anche un fiorente commercio.

Chi erano i muschieri

Il profumiere era il “muschiere”, il cui nome deriva dalla parola muschio, chiamato moscado, che non è il vegetale oggi tanto conosciuto ma la costosissima secrezione prodotta da un sacchetto peloso posto vicino all’ombelico del maschio di questo mammifero, un cervide che vive nelle montagne dell’Asia centrale e orientale, e utilizzata non solo nell’arte della profumeria ma anche come sostanza terapeutica e come ingrediente per imbalsamare i cadaveri. Le sostanze di origine animale sono le più usate tra tardo Medioevo e inizio dell’età moderna, in un’epoca in cui gli odori dovevano essere necessariamente forti per mascherare le scarse condizioni igieniche.

È grazie alle mani e alle abilità di questi alchimisti che esce una miscela in grado di conquistare le corti d’Europa. I profumi dei muschieri della Serenissima uniscono i balsami oleosi dell’Oriente con materie alcoliche ed essenze odorose. Sono loro che diluiscono le essenze in acquavite invece che nell’olio, una vera e propria rivoluzione tecnica che permette di conservare e commercializzare il profumo come mai si era potuto fare fino ad allora. I muschieri conservano queste fragranze in piccole preziose boccette di vetro, fatte a mano dai maestri vetrai di Murano, rendendole così alla portata di tutti i sovrani e nobili, uomini e donne, raggiungibili via mare dalla Serenissima.

Le antiche botteghe dei muschieri

Nel 1568 le botteghe dei muschieri sono 24: si concentrano sul ponte di Rialto, dove trovano posto ben sei botteghe, e lungo l’itinerario delle Mercerie, fino a Piazza San Marco. Le botteghe hanno i nomi più disparati, quali “Al Giglio”, “Alla Fenice”, “Alla Fortuna”, “Al Gatto”, “Alla Ninfa”, “Alla Pigna”, “Alla Sirena”, “Al Serpente”, “Ai Tre Calici”, e qui si vendono muschio, ambra, acque, olii, paste profumate, zibetto, ambra grigia, polvere di Cipro e guanti in pelle profumati. I muschieri non creano solo acque profumate, ma anche paste profumate, creme di bellezza e tinture per capelli per soddisfare la vanità delle nobildonne veneziane.

Nel 1574, Enrico III re di Francia, in visita a Venezia, entra nella bottega del maestro profumiere Domenico Ventura, che aveva il suo laboratorio in Merceria all’insegna del Giglio, e si concede acquisti costosissimi: compra del muschio per ben 1.125 scudi, una cifra vertiginosa. Ventura, all’epoca, era un muschiere famoso per vendere “cose rare al mondo” nella sua bottega e servire la maggior parte dei sovrani e principi d’Europa.

La crescita dei profumieri e delle loro botteghe

Nel 1660 i maestri muschieri sono 29 e, dai documenti, si sa che sono impiegate 81 persone tra lavoranti e garzoni  e parenti. Tra di loro compaiono anche delle donne, che magari hanno ereditato la bottega dal marito defunto e ne portano avanti l’attività. Spuntano, intanto, botteghe in Ruga degli Oresi, a Santa Maria Formosa, a San Pantalon e a San Giovanni Grisostomo.

Anche nel Settecento le botteghe sono una trentina e continuano ad essere concentrate nel sestiere di San Marco, soprattutto nelle parrocchie di San Zulian, San Bartolomeo e San Moisè e nelle zone limitrofe come Santa Maria Formosa e Santi Apostoli. La professione è in mano, a larga maggioranza, a profumieri nati a Venezia, dove le famiglie si tramandano il mestiere di generazione in generazione.

Con l’arrivo di Napoleone finirà la supremazia di Venezia nell’arte del profumo e si passerà dalla bottega alla fabbrica.

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