La Festa delle Marie è una delle feste più antiche che la Repubblica annoverava nell’ambito delle manifestazioni pubbliche nelle quali il popolo recitava un ruolo importante, da protagonista. Dopo secoli di abbandono è stata ripresa e rilanciata in occasione del Carnevale.
Fin dall’inizio del IX secolo ogni anno, il 2 febbraio, giorno della purificazione di Maria, dodici fanciulle del popolo scelte a rappresentare tutta la città, assieme ai loro promessi sposi si radunavano nella chiesa di S.Pietro di Castello, sede del Vescovado di Olivolo, per ricevere collettivamente la benedizione nuziale.
Per quel giorno lo stato prestava alle spose dei gioielli e le famiglie patrizie partecipavano addirittura con donazioni alla costituzione della loro dote, che ciascuna ragazza portava nella chiesa in cassette di legno decorate, appositamente costruite e chiamate “arcelle” o “capselle”.
La cerimonia sembrava essere stata istituita per incrementare i matrimoni in una città ancora poco abitata e per dare aiuti a chi si trovava in condizioni economiche disagiate. Veniva anche distribuito cibo al popolo mentre altre iniziative servivano a mantenere vivo e riconoscente il rapporto della popolazione meno ambiente verso le ricche famiglie delle nobiltà. E’ ovvio il significato simbolico che la festa andò via via assumendo nel tempo.
Il Doge con tutto il seguito del governo e della nobiltà assisteva alle nozze nella chiesa tutta addobbata e illuminata da centinaia di candele, quindi accompagnava le spose a San Marco, consegnava loro i ceri benedetti e le invitava ad un banchetto in Palazzo Ducale. E’ evidente che sono le ragazze ad assumere il ruolo predominante durante questa festa, spose future madri di veneziani forti e coraggiosi, mentre i mariti rimangono figure sbiadite ed evanescenti, confuse sullo sfondo della partecipazione popolare.
Nell’anno 844, sotto il dogale di Pietro Tradonico o, come alcuni cronisti tramandano, nel 946 sotto quello di Pietro III Candiano, mentre a San Pietro si stava svolgendo la cerimonia del matriminio, un gruppo di pirati dalmati irruppe in chiesa e tra lo sbigottimento generale rapì le fanciulle impossessandosi anche delle loro arcelle preziose.
Il Doge stesso organizzò immediatamente l’inseguimento dei pirati ponendosi a capo della spedizione. I Veneziani con le loro barche raggiunsero i rapitori nei pressi di Caorle e li uccisero liberando le fanciulle e recuperando la loro dote. Da allora la zona dove avvenne lo scontro fu chiamata “ porto delle donzelle”. Al loro rientro a Venezia il Doge e i liberatori vennero accolti con grande entusiasmo. Egli chiese ai casseleri, intagliatori del legno e costruttori delle casselle che avevano avuto gran parte nell’impresa di Caorle, quale ricompensa volessero; risposero che era loro desiderio che il Doge visitasse ogni anno la loro parrocchia e la chiesa di Santa Maria Formosa, nello stesso giorno del rapimento a ricordo perenne dell’avvenimento.
La richiesta fu prontamente accolta e fu mantenuta per secoli. La visita a Santa Maria Formosa fu inserita stabilmente nel calendario delle visite pubbliche del Doge. Il parroco gli offriva un cappello di paglia intessuto a fili d’oro, del vino, e della frutta perpetuando un’usanza che gli stessi casseleri avevano istituito fin dal primo momento della loro richiesta: se avesse piovuto essi avrebbero provveduto a riparare il Doge con un grande cappello di paglia e se durante il percorso avesse avuto sete avrebbero offerto del vino a suo ristoro.
I festeggiamenti duravano una settimana e culminavano con una regata alla quale partecipavano i più forti e avvenenti giovani della città.
Con il passare degli anni le iniziali motivazioni si affievolirono, anche la visita a San Pietro e la cerimonia dello sposalizio furono soppiantate completamente ( a partire dal 1379 ) dal ricordo dei fatti successivi, cioè del rapimento e della sconfitta dei pirati a Caorle. Legati alla chiesa di Santa Maria Formosa e ai casseleri che avevano in quella chiesa la sede della loro Scuola di mestiere e l’altare di devozione.
A partire dal 1343 anche le dodici bellissime fanciulle in “carne e ossa” rimasero soltanto dodici sagome in legno dipinto, “ le Marie de tola”, che spesso il popolo contestava con il lancio di pietre e immondizie. Il termine “de tola” passò anche a indicare spregiativamente donne piatte, senza ombra di seno.