A La Voce della Città Metropolitana di Maria Stella Donà, abbiamo come ospite Andrea Vavolo, membro della CGIA Mestre. Oggi si parlerà dei problemi delle piccole imprese e della dichiarazione che ha suscitato la fiducia nei mercati da parte di Luca Zaia: si è previsto un incremento del PIL del 10-12%.
Andrea Vavolo, la CGIA conferma questo aumento del PIL?
“Più che la crescita del PIL, ci sono elementi per parlare di un rilancio di quell’ordine di valori, soprattutto se riferito ad alcuni comparti. Si può parlare di crescita oltre il 12% per il settore delle costruzioni e quasi del 10% per il settore industriale. Per quanto riguarda il Veneto in generale, in base ai dati che ci sono in questo momento, le ultime previsioni danno una crescita del Veneto al 5%”.
Luca Zaia ha parlato così anche per suscitare la fiducia nei mercati
“Fa benissimo a essere ottimista perché elementi per avere fiducia ce ne sono. Il problema è che nel 2020, con una contrazione del PIL intorno all’8,9%, abbiamo avuto la componente dei consumi privati che si è ridotta del 12%. È una cifra importante ma se io vado a vedere di quanto è avvenuta la flessione del reddito, mi accorgo che è molto bassa, del 2,5%. C’è molta ricchezza che è andata a finire in banca, sotto il materasso ed è inutilizzata”.
Non serve né a chi ce l’ha né a chi potrebbe utilizzare quel denaro per investire
“Questo è legato anche al fatto che molte persone non si sono potute spostare, tanti eventi non sono avvenuti e questo ha portato a tenersi i soldi”.
C’è bisogno quindi di una ripartenza dei consumi
“La ripartenza dei consumi e la fiducia nel futuro sono importanti. Ci sono buone prospettive di crescita ed è importante che si mantengano anche quando ci sarà lo sblocco dei licenziamenti. Se questo avviene nel momento in cui c’è una ripresa, il mercato richiederà occupazione, non butterà fuori le persone dal mercato del lavoro. Quindi è importante che ci sia un clima di fiducia nella ripresa.
Noi siamo la terza regione per livello di esportazione e per il 2021 è previsto di fare il record di esportazioni raggiunte: si prevede 68 miliardi di export. Il saldo commerciale di export meno import è l’8% a livello regionale e il 3% a livello nazionale, giusto per far capire l’importanza della cosa.
Noi esportiamo macchinari, calzature, apparecchi elettrici e alimentari, ma dove li esportiamo? In Germania, Francia e Stati Uniti. Nel momento in cui la Germania che è tra i paesi che hanno meglio gestito la crisi, acquista i nostri prodotti, ci avvantaggia indirettamente”.
Senza le imprese italiane, le aziende automobilistiche tedesche non avrebbero i pezzi necessari
“Esatto. È chiaro che in questo momento ci siano luci ed ombre però si spera che tutto venga superato. Si sta parlando di incremento dei prezzi delle materie prime, un fenomeno di cui si stanno ancora cercando di capire le cause. Il fenomeno è legato alla ripresa della catena logistica per esportare i vari pezzi e importarli in Europa: le merci stanno ferme nei porti o non si trovano i container per trasportarle.
Questo si va a travasare nella nostra velocità di produzione. C’è anche un altro fattore, come tutto questo sta ripartendo da noi, lo sta facendo anche nel mondo”.
I numeri dei ricoveri però stanno aumentando sia in Regno Unito che in Russia
“Quello che si respira è comunque la voglia di ricominciare a vivere. Questo lo si vede al di là dei numeri che una persona può citare. Andando a vedere il calo delle aziende e passando per le vie delle città si vede che alcune non ci sono più. I dati amministrativi globalmente non danno questo risultato: danno la costante crescita delle aziende artigiane e non artigiane ma con le stesse percentuali che abbiamo registrato negli anni”.
Perché i dati non tengono conto delle imprese che hanno chiuso, ma soltanto delle aziende che operano?
“No, ci sono delle banche dati in cui tutte le aziende sono censite in base al codice ATECO. Variando lo stock in base a questo codice, si riescono a capire i settori più o meno colpiti. Poi c’è un problema di localizzazione. Magari ci sono delle zone colpite di più, ma il cui numero delle aziende non è così significativo per cogliere il fenomeno.
In altri casi ci sono attività chiuse, ma in procinto di riaprire, quindi i fenomeni sono un’evoluzione: si vedono soltanto a distanza. In questo momento i numeri mi dicono solo che continua la costante discesa, sempre con i ritmi che avevamo riscontrato negli anni passati”.
Quindi c’è una costante discesa di alcuni settori?
“Sì, del numero delle imprese in generale. Quello delle aziende artigiane è in costante discesa dal 2009”.
Quindi chi è piccolo non è più “bello” e tende a chiudere e chi è medio sta in piedi, anzi, cresce?
“No, secondo me piccolo è “bello”, ma nel momento in cui ci sono tutta una serie di incombenze pensate per i grandi, quello non ce la fa. Una volta non c’erano tutti i corsi che ci sono adesso. Molte cose aggiungono incombenze; la stessa privacy in realtà è una marea di burocrazia. Forse bisognerebbe pensare in un’ottica da imprenditore che agisce per creare ricchezza piuttosto che essere una persona a cui bisogna dare una serie di limiti affinché non faccia illeciti. Deve essere proprio un cambio di paradigma”.
Draghi sta riprendendo di nuovo in mano il caso delle piccole e medie imprese
“Sì, bisogna cercare di agevolare chi vuole fare impresa in tutti i modi possibili cercando di rimuovere tutti quei fardelli che lo scoraggiano. Chi è in attività da anni mi dice costantemente con uno spirito di rassegnazione di avere incombenze nuove”.
Le scadenze fiscali di fine giugno
“Noi avevamo fatto vedere con un paradosso che si prevedono per giugno 19 miliardi in uscita. Noi andavamo a riproporre quello che ormai diciamo da mesi: per tutti quelli che sono sotto al milione di fatturato, fate un anno bianco, in cui non si pagano tasse. Altrimenti togliete alcune forme di tassazione, specialmente quella erariale. Questo naturalmente è un elemento per cercare di dare bilancio alle piccole imprese”.
Le imprese che hanno ricevuto aiuti, ora li stanno usando per pagare le tasse?
“Riguardavo la differenza di debito pubblico prima e dopo la pandemia. Facendo la differenza, siamo sull’ordine di 200 miliardi di euro, quindi non sarebbe onesto da parte mia dire che il Governo non ha fatto niente perché è stato fatto molto.
Ci sono tanti imprenditori disperati che si sono trovati chiusi senza sapere dove andare. Se questo non si vede nel numero delle chiusure, si vede chiaramente nei saldi occupazionali. Abbiamo visto che sotto 100mila posti di lavoro persi con il Covid, 350mila sono di indipendenti. Ciò significa che se si fa l’incidenza, è il doppio di quella del calo di occupato dei dipendenti. Quindi questi, che sono 5 milioni, hanno pagato in termini occupazionali il doppio degli occupati dipendenti.
È aumentata la povertà assoluta e la variazione è soprattutto per gli indipendenti. Anche se non abbiamo avuto un dramma sociale diffuso a tutta la nazione e i consumi sono calati (ma i redditi di meno), andando a vedere nel particolare, le situazioni sono veramente disastrose.
La nostra provocazione, quindi, è quella di dire di fare un anno bianco, che non significa non fare niente. Vuol dire semplicemente di fare attenzione durante la fase di ripartenza perché non dobbiamo permetterci di perdere nessuno. Dobbiamo lavorare a tutti i livelli e rivedere la burocrazia, che è fatta di corsi, di privacy, di sicurezza. Tutte cose importanti, ma che pesano sulle piccole imprese”.