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Manicomio di San Servolo: la storia di Jemina

Continuiamo il viaggio tra gli scaffali dell'archivio dell'ex manicomio di San Servolo alla scoperta di donne vissute nel primo Novecento che non avrebbero mai dovuto essere segregate. Oggi vi raccontiamo la vita di Jemina.

La presenza di oltre 10 mila donne nei manicomi veneziani di San Servolo e San Clemente nei primi cinquant’anni del Novecento non ha lasciato tracce soltanto nelle scarne cartelle cliniche conservate in archivio. Queste donne, spesso considerate “matte” solo perchè inadeguate agli imperanti dettami sociali, hanno fatto germogliare un grande albero che in ogni foglia racchiude una storia. Oggi scopriamo la storia di Jemina, che nel 1927 ha 38 anni.

La storia di Jemina

È di origine siciliana ma vive in famiglia a Venezia, finché non scopre di avere la tubercolosi e allora prende un treno per raggiungere un sanatorio in Piemonte. E sarà proprio un semplice diverbio in treno, durante il quale Jemina insulta il Governo e la Polizia, che la porterà prima in carcere e poi in manicomio.

Qui è tranquilla ma non vuole mangiare, tutti i suoi pensieri sono rivolti alla vita spirituale: Jemina è molto religiosa, come del resto la sua famiglia. La perizia la dichiara affetta da demenza precoce paranoide, oggi si direbbe schizofrenia, e, al momento dei fatti, inferma di mente. Per questo viene condannata al ricovero in manicomio.

Nel 1932 arriva un’amnistia, eppure Jemina resta in manicomio perchè ritenuta socialmente pericolosa. Uscirà nel 1934, ma solo per essere trasferita all’ospedale psichiatrico di Girifalco, vicino a Catanzaro. Chissà se Jemina ne sarà mai uscita.

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