Per vedere una scala ellittica che sembra sfidare le leggi di gravità bisogna andare lì, all’Ospedale dei Derelitti, che i veneziani conoscono più semplicemente come l’”Ospedaletto”.
Ospedale dei Derelitti
È un complesso enorme, che comprende la chiesa, in Barbaria de le Tole, dove fino ad una decina d’anni fa trovava spazio una residenza per anziani, in continuità quindi con il modello di assistenza ai bisognosi che la Repubblica Serenissima perseguiva.
Un compleanno lungo 1600 anni, quello che quest’anno festeggia Venezia. La città è stata un modello di organizzazione moderna ed efficiente anche nell’assistenza ai poveri, ai bisognosi, agli orfani, alle vedove, attraverso la creazione di “Ospedaletti” o “Ospizi”.
“Questo viene realizzato tra il 1527 e il 1528 per accogliere medicanti, infermi e orfani – spiega Agata Brusegan, curatrice del patrimonio artistico della Fondazione Venezia Servizi alla Persona.
Noi abbiamo ereditato tutto quello che possiamo definire il welfare, ossia il sistema della Serenissima di politica sociale che era fondamentale per assicurare un buon vivere per tutta la popolazione che viveva di fatto in un’isola”.
Le istituzioni
La prima istituzione risale al 975-978, voluta dal Doge Pietro Orseolo I ai piedi del campanile di San Marco. Nel 1500 si contano addirittura quattro Ospedali Grandi a Venezia: l’Ospedale dei Derelitti, gli Incurabili, la Pietà e i Mendicanti.
Sono istituzioni che danno un ricovero alle persone. Si impara un mestiere e che esaltano i talenti, come quello musicale con le “putte da coro”, le cui esibizioni sono ammirate in tutto il mondo.
Gli ospedali, continua Brusegan, “fungevano da impresari teatrali” perché l’attività musicale era un vero e proprio business.
“Le “putte da coro” si distinguevano dalle “putte de comun” che avevano altri compiti all’interno dell’istituzione. Facevano il merletto piuttosto che fare le maestre. Ognuno doveva fare un lavoro. Le ragazze venivano pagate con la “tasca”, ossia quel minimo di lavoro che doveva essere eseguito durante la giornata e alla fine serviva per la dote. Il futuro di queste ragazze era sposarsi, monacarsi o rimanere all’interno dell’istituzione”.
Ed è qui, nella cantoria della chiesa, che un giovanissimo Giambattista Tiepolo, mentre sta dipingendo uno dei pennacchi, si innamora della putta da coro Cecilia Guardi, sorella dei pittori Gianantonio e Francesco Guardi, che poi – non senza vicissitudini e scandali – diventerà sua moglie.
La beneficenza
“In epoca medievale chi faceva beneficenza la faceva pro anima mea, per salvare se stesso. Questo cambia nel primo 1500 con la riforma cattolica. La beneficenza non è più per se stessi ma per un mondo migliore, che si concentra su giovani, orfani e gioventù diseredata e coincide con un laicismo contestuale, una specie di illuminismo ante litteram – spiega la curatrice.
Questi ospedali vengono quindi fondati e gestiti da privati cittadini, nobili benefattori. Chi trovava ricovero qui era infinitamente più fortunato di chi doveva vivere di stenti.
L’attività musicale i maschi non la facevano: gli uomini uscivano con un lavoro, gli veniva pagato l’apprendistato ed avevano un filo diretto con l’Arsenale. Qui c’era anche una parte di pronto soccorso per quelli che si chiamavano i febbricitanti e una delle primissime sale anatomiche di Venezia.
Questi ospedali erano cittadelle dove c’era un po’ di tutto: malati, giovani, putte di coro, merlettaie e questa promiscuità sparisce con le riforme napoleoniche, quando la sanità viene staccata dal sociale, una divisione che ancora oggi rimane”.
Scala ellittica
Il complesso è bello da visitare anche per la scala ellittica dell’architetto Giuseppe Sardi, per il cortile di Baldassarre Longhena e per l’unica sala della musica rimasta a Venezia.
“È l’ultima costruita e l’unica rimasta a Venezia. Una sala dall’acustica perfetta che viene riadattata nel 1776 al posto delle vecchie cucine. Costruita grazie a una specie di crowfunding a cui partecipano anche famose cantanti che erano state ospiti nell’Ospedaletto – conclude Brusegan. Serviva come sala prove, come sala per concerti da camera ma anche come luogo di affari, come “salotto buono” per le relazioni all’esterno. Questa sala dura pochissimo, perché nel giro di dieci anni viene abbandonata dopo la caduta della Repubblica e l’Ospizio cambia la sua destinazione”.