Una ricerca italiana sui gemelli ha vinto uno dei famigerati (ma poi non così tanto) IgNobel, la parodia dei premi Nobel assegnati alle relazioni più strane.
«Sono proprio io o è il mio gemello?» è la domanda che sta alla base della ricerca italiana (della Fondazione Santa Lucia di Roma e dell’Università La Sapienza, in collaborazione con il Registro nazionale gemelli dell’Istituto superiore di sanità) che si è aggiudicata il premio più ambito dagli scienziati dotati di autoironia, l’IgNobel, parodia del Nobel.
I responsabili si sono detti entusiasti e i due più giovani, Ilaria Bufalari e Matteo Martini, hanno ritirato il riconoscimento all’Università di Harvard a Boston: un sontuoso assegno da dieci trilioni di dollari… dello Zimbabwe, equivalenti a circa a tre dollari statunitensi! I due hanno spiegato la propria soddisfazione considerando che premio dà visibilità alla ricerca e non ridicolizza la scienza, bensì ne promuove la diffusione.
Tutte i lavori premiati sono veri, pubblicati su riviste scientifiche vere, compreso quello di un ateneo brasiliano “lodato” per aver prodotto il primo studio sul consumo di sangue umano da parte del pipistrello noto come “vampiro senza coda” (IgNobel per la nutrizione). O quello che si è chiesta perché gli anziani abbiano le orecchie grandi (IgNobel per l’anatomia), pubblicato sul British Medical Journal.
E c’è stato anche chi ha fatto la doppietta, passando agevolmente da uno all’altro: Andrej Gejm, premio Nobel per la fisica nel 2010 per la scoperta del grafene, dieci anni prima aveva conquistato l’IgNobel facendo volare una rana, ed erano serissime ipotesi sulla levitazione diamagnetica.
Lo studio italiano in questione, pubblicato sulla rivista PlosOne nel 2015, ha indagato il senso di sé dei gemelli monozigoti, quelli che hanno un doppio identico, mostrando – come si diceva all’inizio – come questi abbiano una certa difficoltà a distinguere il proprio volto da quello del fratello.