Nei mesi scorsi ci eravamo occupati nell’ambito dei ricordi dei 1600 anni di storia di Venezia del “Tocheton”, ossia del grande pezzo di 5 tonnellate del Campanile di San Marco crollato a inizio ‘900 e custodito in un giardino a Venezia un tempo di proprietà di un antiquario ebreo salvatore Arbib. Un suo discendente, Jack Arbib presidente del Museo di Arte Ebraica Italiana, saputo del ritrovamento è venuto a Venezia. La nostra guida è Vittorio baroni
Ci troviamo nel giardino di Palazzo Berlendis, di proprietà della famiglia Boniolo. Con noi oggi la signora Noemi e il figlio Giovanni, in compagnia di Jack e Deborah Arbib, arrivati qui da Milano e Tel Aviv. Hanno da poco scoperto infatti, ed è la ragione per cui si trovano qui, che il loro antenato Salvatore Arbib era nientemeno che il collezionista proprietario del “Tocheton”.
Chi era Salvatore Arbib?
Ce lo racconta lo stesso Jack Arbib: “Salvatore è figlio di Vita Arbib – fratello del mio bisnonno – emigrato da Tripoli e stabilitosi qui in laguna. Salvatore allora nasce e cresce proprio a Venezia.”
“In questa stessa città – aggiunge Noemi Boniolo – Salvatore porterà anche due mummie acquistate in Africa, che oggi troviamo conservate al Museo Correr.”
Un collezionista dal grande altruismo
Riprende Jack: “Della vita di Salvatore non conosciamo tutti i dettagli. Sappiamo però che è stato per Venezia un grande benefattore, avendole destinato diverse donazioni in denaro a fini culturali. E non solo per Venezia. I contributi di Salvatore raggiungono anche il British Museum, lo Smithsonian e il Met di New York. Si tratta per la maggior parte di vetri, essendo lui proprietario di una grande vetreria. Si recava quindi in mete archeologiche ambite, e lì acquistava nuovi reperti.”
Da Tocheton a tochetin
Dal momento che il Tocheton in quanto reperto storico va lasciato integro così com’è, abbiamo pensato di regalare a Debora e Jack dei “tochetin”. Ovvero dei singoli mattoni delle rovine del campanile, ricavati quando questo crollò. Ai tempi addirittura che chi fece le esequie del campanile, gettandone in mare alcuni mattoni e facendo nascere appunto questa usanza.