Via Piave, all’indomani degli arresti per spaccio, non è cambiato nulla nel mercato della droga, che si spalma fra Mestre e Marghera e ha come epicentro la stazione dei treni, dopo le 27 esecuzioni di custodia cautelare eseguita dai carabinieri due giorni fa. Il sistema fatto emergere dalle indagini dei carabinieri funzionava cinque anni fa, ma ora i protagonisti sono altri.
Via Piave nel 2018
Nel 2018 gli albanesi confezionavano le dosi in un laboratorio e i tunisini piazzavano la merce. Potevano contare su un buon segmento di mercato, circa un migliaio di assuntori, per la maggior parte non di Mestre. Ora i clienti ci sono ugualmente, così come i venditori, ma i pusher non sono gli stessi. I fratelli albanesi che tagliavano le sostanze stupefacenti sono riusciti a far perdere le loro tracce.
Uno dei 27 indagati che si trovava in carcere, Bessen Degachi, venuto dalla Tunisia con una laurea in informatica, si è suicidato nel penitenziario di Santa Maria Maggiore, dopo aver letto il nuovo ordine di custodia cautelare. Era andato oltre, dopo il primo arresto. Era in regime di semi libertà. Aveva trovato un lavoro in una remiera, ma il secondo arresto ha spento la luce che aveva visto in fondo al tunnel.
Problema della giustizia e proposte
Il ministro della giustizia Carlo Nordio ha dichiarato senza giri di parole che c’è qualcosa che non funziona se vengono ordinati arresti a cinque anni dai fatti contestati. I giudici veneziani, del resto, da anni denunciano carenze di organico. Il capitolo giustizia, però, non distrae le forze dell’ordine dall’allarme sociale sempre più forte in queste settimane.
Lunedì prossimo si riunirà il comitato per l’ordine e la sicurezza, e sarà stilato un nuovo piano. Il sindaco di Venezia Luigi Brugnaro ha anticipato due idee: la creazione di una cintura di controllo di fronte alla stazione per respingere i tossicodipendenti che arrivano con il treno e un furgone dei servizi sociali, operativo fino a notte inoltrata, attivo nelle zone calde.
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