Dividono l’opinione pubblica lo sciopero del pubblico impiego in tutta Italia e i presidi a Venezia e a Mestre per un aumento dello stipendio; ha diviso ancora di più la scelta del giorno: il 9 dicembre, allungando il ponte dell’immacolata e strappando 24 ore di pausa dal lavoro.
Lo sciopero
Le organizzazioni sindacali hanno risposto alla rabbia di chi, nel privato, vede saltare le imprese, il proprio posto di lavoro e dei colleghi come birilli. Si parla di stipendi tra i bassi d’Europa, della necessità che i compensi diventino dignitosi , raccontando di ambienti di lavoro da rivedere e ribattendo che i problemi veri del lavoro autonomo lasciato solo e dei precari con retribuzioni e diritti indegni di un paese civile non si risolvono colpendo ancora lavoratrici e lavoratori con stipendi quasi fermi da 13 anni.
Rimane il fatto che chi nel privato in questi mesi ha salvato il proprio lavoro si è sentito privilegiato rispetto a chi lo ha perso. Più affaticato perché ha lavorato di più e per un compenso minore. Spesso si è scontrato con gli uffici pubblici chiusi o a regime ridotto.
Nel pubblico invece è l’accusa del privato, nessuno ha avvertito il valore della garanzia offerta dal posto di lavoro sicuro, soprattutto chi non ha lavorato in smart working perché non aveva la rete a casa e ha continuato a percepire il compenso mensile.
I due mondi, insomma, durante l’emergenza Covid, si sono mostrati ancora più distanti anche tra le lavoratrici. Nel pomeriggio, in piazza ferretto, hanno protestato cuoche e insegnanti dei nidi e delle scuole d’infanzia comunali. Sollevano l’indignazione delle mamme, bisognose del supporto dei servizi sociali, essendo proprio le donne le prime ad essere lasciate a casa se l’azienda perde.