Boraso a giudizio
La prima udienza è fissata per il 27 marzo, segnando un punto cruciale nell’inchiesta “Palude” che, dall’estate scorsa, ha scosso il Comune di Venezia. L’ex assessore Renato Boraso e tre imprenditori — Fabrizio Ormenese, Francesco Gislon e Daniele Brichese — sono accusati di un complesso sistema di corruzione legato all’assegnazione di appalti e varianti urbanistiche.
La richiesta di giudizio immediato, firmata dai pm Federica Baccaglini e Roberto Terzo e approvata dal gip Alberto Scaramuzza, elimina l’udienza preliminare e divide formalmente l’inchiesta in due filoni. Il primo riguarda Boraso e i presunti illeciti connessi; il secondo tocca questioni come la vendita di Palazzo Papadopoli e trattative sui terreni dei Pili, coinvolgendo anche figure vicine al sindaco Luigi Brugnaro.
Le accuse e i reati contestati
I capi d’accusa includono corruzione aggravata, emissione di fatture per operazioni inesistenti, turbativa d’asta e recidiva in alcuni casi. Boraso, secondo le indagini, avrebbe facilitato imprenditori “amici” in cambio di denaro, influenzando assegnazioni di appalti pubblici, vendite di terreni e procedimenti urbanistici.
Tra i casi specifici, emergono presunte pressioni per favorire la Tecnofon di Daniele Brichese e per la gestione di subappalti, come la realizzazione di una Rsa a Favaro Veneto.
Ormenese, considerato intermediario e promotore della corruzione, avrebbe tentato — senza successo — di influenzare l’assegnazione di appalti legati alla gestione delle multe della polizia locale e alla vendita di terreni della società immobiliare Ive. Gislon, con la sua azienda Ma.Fra., avrebbe beneficiato di favoritismi negli appalti.
Un capitolo amaro per Venezia
Boraso avrebbe operato ben oltre le sue deleghe istituzionali, esercitando pressioni su funzionari, dirigenti e collaboratori del sindaco, arrivando a minacciare conseguenze per chi non assecondava le sue indicazioni.
In un caso, avrebbe intimidito una funzionaria legata alla variante urbanistica dell’area Aev Dese, richiedendo una tangente di 20 mila euro più lo 0,5% della successiva vendita.
Le difese stanno trattando per il patteggiamento, che garantirebbe uno sconto di pena, ma in assenza di accordo si procederà con il dibattimento. Questa vicenda rappresenta un capitolo amaro per la città, sollevando interrogativi sul rapporto tra politica, amministrazione e imprenditoria.
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