Si mangiano e si odorano, evocando terre lontane avvolte nel mito, ma servono anche per profumarsi e per curarsi. Quando Venezia era la Serenissima, il commercio delle spezie era la sua più importante fonte di reddito. La Repubblica Serenissima fu per secoli monopolista indiscussa in questo campo. Importava dall’Oriente, dove aveva scali e colonie in tutti i porti principali, e riesportava nel resto dell’Europa. Per ricordare il ruolo del commercio delle spezie e la ricaduta che esso ha avuto nella civiltà e nella vita veneziana, il Comitato cittadini di campo Rialto novo e adiacenze ha organizzato per domenica 26 settembre la giornata “M’illumino di spezie”. L’evento si terrà in pescheria a Rialto, dalle 10 alle 20.
La manifestazione si inserisce all’interno delle celebrazioni per i 1600 anni di Venezia. Lo scopo è quello di esplorare l’uso delle spezie nella cucina, nella farmacopea e nella profumeria. Saranno proposti laboratori sensoriali, una tavola rotonda, visite guidate nei luoghi topici delle spezie e una mostra-mercato con una decina di espositori. Tra le protagoniste della tavola rotonda ci sarà Carla Coco, storica della gastronomia di origine siciliana ma trapiantata a Venezia da tanti anni.
La storica della gastronomia interviene sull’evento
“L’idea di dedicare una giornata alle spezie all’interno degli eventi per la nascita di Venezia nasce dal fatto che le spezie sono tra le merci più importanti per l’intera Europa. Le spezie connotano la cultura e l’economia medievale e fanno anche grande e ricca Venezia – spiega Coco –. Erano importanti, e lo sono ancora adesso, perché venivano usate in tantissimi campi. Tra questi la cucina, la dietetica, la farmacopea, per fare profumi e saponi. Erano merci che venivano da molto lontano, dall’estremo Oriente ed erano essenzialmente semi, cortecce, fiori, minuscoli frutti che per la maggior parte si usano essiccati”.
Venezia, che era una città commerciale, comprende fin dall’inizio che si tratta di un settore molto importante e si dedica interamente a questo commercio. “Lo fa in maniera molto intelligente, curandone tutti gli aspetti – continua –. Aveva un Arsenale, già all’inizio del 1204, in grado di fabbricare delle navi. Aveva una legislazione marittima che già nella seconda metà del 1200 era ben strutturata e metteva in sicurezza i suoi mercanti attraverso le cosiddette “mude”.
Si trattava di convogli armati che partivano da Venezia in una data ben precisa, avevano un programma di viaggio e arrivavano negli scali dei vari porti dell’Oriente e del nord Africa. Lì i veneziani incontravano altri mercanti che avevano portato le spezie dall’estremo Oriente e le compravano. Spezie che pesavano poco ma erano molto costose perché l’utilizzo era immenso. Una volta che tornavano a Venezia, arrivavano al mercato di Rialto dove queste merci pagavano il dazio e poi venivano rivendute in tutto il resto d’Europa. Chiaramente Venezia teneva quello che le serviva, ma anche qui lo fa in maniera intelligente”.
Spezie: dalla medicina alla cucina
La Serenissima diventa infatti leader anche nella produzione dei farmaci. Fino all’avvento della chimica, infatti, la maggior parte delle medicine si faceva con le spezie e le erbe.
“Tra tutti i farmaci, Venezia si specializza nella produzione della triaca. Questa era un medicinale molto particolare, una specie di panacea per tutti i mali, formato da ben 62 ingredienti tra cui spezie e carne di vipera – racconta –. E non solo ne produce in enorme quantità, ma anche la migliore del mondo allora conosciuto. Ci sono farmacie triacanti: solo loro possono fare questo farmaco. Quando lo preparano, intervengono le autorità a controllare che tutto sia fatto in maniera corretta. Questo fa sì che il farmaco sia venduto in tutta Europa”.
L’altro aspetto da non dimenticare è l’uso in cucina. Questo non solo per insaporire i cibi e dargli un gusto particolare, ma anche nella dietetica. Nel mondo medievale, infatti, cucina e dietetica vanno di pari passo. “A quell’epoca si pensava che le spezie correggessero i vizi del cibo. Si usavano quindi non soltanto sui piatti ma anche per fare dei vini speziati oppure venivano confettate e consumate a fine pasto – prosegue –. Anche qui i veneziani capiscono che l’utilizzo delle spezie in cucina può essere una cosa difficile, perché non erano prodotti presenti nel dna europeo. Venezia fa quindi una operazione di marketing molto interessante. Crea cioè una serie di sacchetti con delle spezie già pronte da usare, che si chiamano proprio sacchetti veneziani”.
I “sacchetti veneziani”
Questi sacchetti erano di tre tipi: uno con spezie negri e forti che si usavano per la carne, un altro con spezie dolci e fini per il pesce e poi, siccome erano mercanti, una miscela universale buona per tutti i gusti. Non solo: i veneziani fanno un’operazione di tipo culturale molto importante. Sempre secondo il principio che dietetica e cucina vanno a braccetto, chiamano un medico-gourmet di origine araba, “Giambonino”, a cui nel 1271 viene conferita la cittadinanza “de intus et de foris”.
Giambonino viene invitato dalla Repubblica a tradurre e rielaborare un libro di un medico molto famoso in Oriente per far conoscere e capire come le spezie si usano, a cosa servono, quali mali possono prevenire. E Giambonino scriverà alla fine del 1200 un libro che si chiama “Liber de ferculis et de condimentis” che oggi possiamo considerare il primo libro di cucina veneziana”.
Programma dell’evento
“In questa manifestazione, che ha la partnership dell’università di Cordova, abbiamo pensato di mettere insieme tutti i vari aspetti delle spezie: quindi avremo un momento culturale, ma anche commerciale – spiega Coco – Avremo un laboratorio sensoriale con esperti che guideranno le persone all’uso delle spezie in cucina; verranno riproposti questi famosi sacchetti veneziani di cui abbiamo memoria storica e ricette tratte dai ricettari antichi veneziani. Ad esempio, il famoso saor che mangiamo ancora tutti i giorni è un piatto che esiste già nel 1300, si chiamava “cisame di pesce” ed era fatto con le spezie, o “l’ambrogino” che era completamente ricoperto di spezie. Basti pensare che nel 1300 a Venezia si usavano dalle 30 alle 40 spezie diverse”.
Alle 16 è prevista una tavola rotonda dove si parlerà di spezie nella farmacopea, nella profumeria, nella liquoristica e nella cucina. Non mancherà la parte commerciale, con la presenza di stand in cui le persone potranno provare, vedere e capire cosa con le spezie oggi si può modernamente fare. Ci saranno pasticcieri che faranno antichi dolcetti con le spezie, come i pevarini, ma anche rivisitazioni moderne, come un babà con le spezie o i mustacciuoli. Ci saranno amari e distillati, maestri profumieri che faranno sentire diverse fragranze e visite guidate con guide autorizzate che faranno conoscere il mercato, l’antica farmacia di San Servolo e palazzo Mocenigo. In serata verrà proposta una rivisitazione teatrale del Milione di Marco Polo”.
Tramonto di un’epoca
Pregiatissime e costosissime, e per questo usate dai ricchi per fare sfoggio della propria opulenza, le spezie vengono usate fino alla fine del 1500, dopodiché subiscono un declino.
“Sostanzialmente arrivano i portoghesi che inondano di spezie l’Europa con le loro navi e iniziano a non essere più apprezzate perché non sono più uno status symbol, senza contare che le conoscenze mediche si allargano e anche se non c’è una ragione apparente le spezie cominciano ad essere sempre meno usate – conclude Coco – La cucina veneziana del 1600 e 1700 perde le spezie, nel 1800 e 1900 si conoscono solo quelle principali: il pepe e la cannella.
Però negli ultimi 20 anni qualcosa è cambiato. Perché si riscopre che in realtà le spezie fanno davvero bene e non erano solo dicerie. E vengono di nuovo usate in cucina, anche per la presenza di molte comunità straniere orientali. Tra le spezie riscoperte ci sono sicuramente lo zenzero, la curcuma, la cannella, i chiodi di garofano, l’anice stellato, il coriandolo e naturalmente lo zafferano. Lo zafferano viene prodotto soprattutto in Iran e in Turchia, però è l’unica spezia che si può coltivare anche in Italia. Nella manifestazione avremo lo zafferano prodotto in Italia e quello iraniano, proprio per mettere a confronti mondi e culture diverse”.