Verona, caso di malaria: allarme rientrato

Un caso sospetto di malaria a Verona ha scatenato l’allarme. Tuttavia, nuove informazioni rivelano che si tratta di un caso importato dall’estero

Malaria a Verona: falso allarme su un caso di contagio autoctono.

Allarme malaria

Giovedì pomeriggio a Verona è scattato l’allarme per un caso di malaria, diagnosticato in una persona che inizialmente sembrava non aver viaggiato di recente in aree a rischio. La notizia aveva destato preoccupazione, tanto che il virologo Roberto Burioni ha richiamato l’attenzione sui rischi di un possibile contagio autoctono, definendo la situazione “un guaio che neanche vi immaginate”.

Tuttavia, nelle ore successive, sono emerse informazioni decisive per ridimensionare la vicenda. Il paziente, infatti, ha ammesso di essere rientrato di recente da un viaggio in una zona endemica dell’Africa, omettendo inizialmente questo dettaglio per motivi personali.

La Regione Veneto ha confermato che, grazie a verifiche incrociate con gli uffici di Sanità Marittima, Aerea e di Frontiera, è stato possibile ricostruire il viaggio del paziente e classificare il caso come “importato”. Questo ha permesso di escludere il rischio di un contagio autoctono, tranquillizzando le autorità sanitarie e la popolazione.

I falsi allarmi

In Italia, la malaria è stata ufficialmente eradicata negli anni Settanta. Ciò in seguito a un ampio programma di bonifica delle zone paludose, dove proliferavano le zanzare Anopheles, vettori del parassita della malaria, il Plasmodium.

Sebbene queste zanzare siano presenti in minima parte sul territorio italiano, le basse temperature impediscono loro di diffondersi a livello autoctono. La malattia, quindi, si verifica solo in casi di importazione da aree endemiche.

L’episodio di Verona ha evidenziato l’importanza della trasparenza sanitaria. Una comunicazione tempestiva e precisa sui viaggi all’estero può evitare falsi allarmi e interventi di emergenza. Le autorità sanitarie ribadiscono la necessità di rispettare i protocolli sanitari e di dichiarare sempre eventuali soggiorni in aree a rischio, per proteggere la comunità e garantire una risposta rapida ed efficace ai casi importati di malattie infettive.

GUARDA ANCHE: Venezia, le dimissioni dell’80% degli infermieri

Exit mobile version